Vita da coach



Scendo le scale carico di cose. Faccio un check di tutto quello che sto portando e che mi ritrovo addosso. Parto dall’abbigliamento, oggi previsto tempo instabile, indosso i pantaloncini corti, non ci dovrebbe però essere freddo. Quindi rimango un attimo nel dubbio, ma alla fine mi convinco che ho fatto la scelta giusta. Bene! Il mio piumino leggero verde fosforescente è nella macchina in caso mi servisse. Nel fedele e quasi inseparabile zaino ho: l’altrettanto fedele MAC, cronometri, cartellina con la carta per scrivere, penne, anzi l’intero astuccio. Ieri me l’ero dimenticato e non ho potuto utilizzare per l’ordine di partenza i miei evidenziatori. Queste start list,  per risparmiare sulla carta, giustamente, sono sempre più piccole e io ormai ho bisogno degli occhiali... che mi dimentico sempre!  Poi ho la telecamera pronta a registrare, anche lei l’ho formattata prima di addormentarmi. Il carica batteria c’è, visto che è stato l’ultimo oggetto che ho messo dentro. Nella mano destra ho la borsa termica con i panini al formaggio e prosciutto che ho preparato anzitempo, poi ci sono una red-bull per atleta, che dà la carica giusta... così pensano gli atleti e ancora cioccolata e succhi di frutta. Questo sarà lo spuntino tra una manche e l’altra per la squadra. Sulla sinistra porto il sacchetto della frutta: banane e mele. Scendo gli ultimi scalini e con loro termino anche la mia check-list: c’è tutto e mi infilo nel pulmino aspettando gli atleti che gareggeranno nella mattinata. Come sempre faccio la scontata domanda: “Você tem tudo? colete, salva-vidas, capacete?” Sembra di sì quindi si parte. Questa mattina, dopo una settimana di Jovanotti, punto sulla radio e  una dolce Céline Dion in “The power of the love”allieta i primi chilometri. La dolce melodia finisce presto e lascia spazio al notiziario in lingua slovacca... presumo che sia!  Meglio cambiare stazione; si cade male: radio Maria è anche qui! Spengo e cerco il dialogo con chi mi sta a fianco sulle cose da fare appena arriviamo al canale.  
La strada, che percorriamo di buon ora è ovviamente semi deserta, arriviamo al campo di gara, com’è mia abitudine, tra i primi per assaporare il silenzio prima di una giornata che sarà intensa e non priva di emozioni. In questi momenti mi chiedo quasi sempre: che cosa sarebbe la mia vita senza tutto ciò? Senza l’adrenalina che ti sa regalare la competizione. Poi mi rendo conto che anche oggi, come ieri, la mia  giornata prevede il fatto di vivere intensamente 18 manche e la cosa mi preoccupa non poco. Sarò in grado di reggere a tale sforzo? Sò già che sarà una faticaccia e ogni volta che partirà un mio atleta sarà come entrare con lui in quell’inferno che è una gara di slalom. La discesa, come quasi sempre, la vivo attraverso lo schermo della telecamera e con la sinistra prendo gli intermedi, che poi riscriverò velocemente sul mio block-notes tra un atleta e l’altro. Fatico a stare fermo perché mi verrebbe da schivare con il corpo le porte mentre i  miei ragazzi scendono, ma devo restare immobile e respirare lentamente per non oscillare con le riprese video.
Devo restare concentrato al massimo per non perdermi nulla di quella discesa, ogni gesto è importante, ogni movimento diventa determinante. 
Poi la giornata corre via veloce, non c’è un attimo libero tra rivedere le discese degli atleti con loro, rivedere il tracciato per la seconda discesa, preoccuparsi che tutto fili via liscio, senza dimenticare di dare gli ultimi ragguagli ai ragazzi e spingerli a cercare la massima concentrazione all’ombra e isolati dal mondo. 
La sera mi coglie quasi di sorpresa e il campo di gara torna ad essere silenzioso come la mattina al nostro arrivo. 
Alla fine di ogni gara ci sono atleti contenti e atleti che lo sono meno. Mi rendo conto che il lavoro non è finito, devo rimettere in ordine molte cose, ma ciò che mi preoccupa maggiormente è che dovrò usare armi diverse con ognuno di loro per rassicurarne qualcuno, per gioire con altri, per approfondire con altri i problemi da risolvere. Questo è il lavoro del coach che lavora all’inferno,  non conosce il paradiso, e... forse solo qualche volta fa una scappata in purgatorio!


Occhio all’onda! 

Commenti

Post più popolari