Una notte a Buenos Aires




“Over-booking” una parola magica che mi ha regalato una notte
decisamente particolare, ma andiamo per ordine.
L’over-booking è una prassi nelle compagnie aeree. Cosa fanno sti’
furboni per cercare di guadagnare il più possibile: vendono biglietti in
sovrannumero perché è certo, in base a statistiche che tengono
puntualmente aggiornate, che il 10% dei biglietti venduti non verrà
utilizzato. I motivi per questa rinuncia possono essere tanti, da
un’impossibilità personale sopraggiunta prima della partenza, dalla
morte di un congiunto, da una diarrea fulminate, da un ritardo
dell’amico che doveva portarti all’aeroporto e che invece è in pizzeria
con la tua migliore amica. Oppure tanto per menzionare altre possibilità
c’è sempre quella dovuta ad un ritardo di una coincidenza come è
successo proprio al sottoscritto.
Al chek-in la signorina della compagnia, in un delizioso spagnolo fatto di tanti
diminutivi, è stata molto gentile a dirmi che sarei rimasto a terra e
avrei preso il primo volo per la mia destinazione il giorno successivo. La mia faccia però, deve averla spaventata un pochino perché la mia insistenza sul fatto di essere certi che mi sarei fermato quella notte l’ha indotta a riprovare
per trovare un posticino su quell’aereo che avrebbe dovuto portarmi a
Porto de Iguazu. Tra me e me pensavo che il Brasile poteva aspettare
visto che probabilmente ci dovrò passare i prossimi sei anni. Ora la mia vera e unica preoccupazione e desiderio erano proprio quelli di restare a Buenos Aires per sfruttare al massimo quella inaspettata, ma, sperata, opportunità.
Il trasferimento in pullman dall’Aeroparque al Grand Hotel Bueon-Aires
l’ho utilizzato per creare un vero e propria piano d’azione. Bisognava
mantenere la calma, godersi ogni momento con estrema lucidità, trovare
l’obiettivo e proiettarsi dentro. Amur dove sei, cavolo in due si
ragionava meglio!...giusto…stai dormendo…

Sceso dal bus però, mi ha preso lo sconforto: avevo architettato tutto,
ma non avevo la minima idea di dove mi trovassi. Confidavo sulla
buona sorte, ma prima, visto che era pagato, ho placato i morsi della
fame. Non capisco perché viaggiando si ha sempre fame, continuano a
portarti da mangiare e bere e tu ingurgiti tutto l’immaginabile. Forse
si temono lunghi periodi di digiuni e carestie. Mah!
La cena per la verità non era un gran che, ma neppure tanto male:
raviolini al pomodoro e un creme caramel come dessert. Mi guardo nelle
tasche e ho solo dollari australiani che da quelle parti non ti cambiano
neppure per mezzo dollaro bucato , come direbbe il mio amico Tex Willer.
Nessun problema quattro pesetas devo assolutamente recuperarle per
pagare il taxi domani mattina e per entrare magari….sì…il mio scopo si fa chiaro: entrare in qualche milonga!!! La tecnologia bancomat ti risolve un sacco di problemi e le quattro pesetas hanno preso il posto dei dollari. Respiro a lungo e mi metto su una strada pedonale affollata e con un sacco di venditori ambulanti al centro. Mi faccio guidare dall’istinto, passeggio guardando sospettoso ogni movimento altrui. Al primo semaforo mi si avvicina un tipo che,
capito che non ero argentino, chissà poi da cosa, mi propone un locale
con buonitas cicas, masaito e cervecitas, declino l’invito e proseguo
lasciando libero il fiuto per la buona musica. Tutto però, nel
frattempo, attorno a me parla di tango, non posso fallire questo giro!
L’orgoglio non mi fa chiedere nulla è come essere in Germania e chiedere
dove si possa bere una birra... che figura ci farei? In mezzo a tanta
gente che cammina in una via ricca di colori, odori, storie e vite che
avrebbero tanto da raccontare, mi accorgo che poco più avanti c’è una
sorta di cappannello di persone... stanno ballando e guarda un po’ un
tango. Mi fermo estasiato, ammiro questi artisti di strada che
promuovono questa danza con eleganza e grande stile. Ma allora è tutto
vero quello che si dice su questi posti, della gente che balla per
strada, della musica sugli angoli delle strade, delle esibizioni
spontanee di gente comune. La mia sete e la mia voglia di muovermi si fa
potente. Proseguo sulla strada pedonale, senza però dimenticarmi di
buttare l’occhio nei mille e più vicoletti che intersecano quel mio
cammino. Da uno di questi scorgo un localino con una scritta show tango,
mi precipito e sulla porta c’è una bellissima argentina con grembiulone
nero che pubblicizza le ghiottonerie di quel locale. Mi faccio coraggio
e chiedo se oltre allo spettacolo si potrà anche ballare. Lei
dispiaciuta mi dice che questa sera si cena e basta ma se voglio ballare
basta entrare là. Mi giro e capisco che la musica che avevo sentito
arrivava proprio da quell’angolo di città!
Nei pochi passi che mi guidano verso la musica attraverso una strada
enorme che scopro più tardi chiamarsi Presidente Roque Sàenz Pena o
Diagonal Norte. Una strada che ti fa capire quando è grande e magica
Bueonos Aires anche di notte, anche in mezzo a sacchi di spazzatura che
calpesto ovunque. Capisci dai volti che si trascinano per le strade
senza meta, senza obbligo alcuno e che vagano tra un angolo e l’altro,
che questa città fatta da 13 milioni di persone non ha soste, non ha
giorno o notte. Persone che si fermano, sostano qualche secondo e
riprendo a camminare come squali nella notte incapaci di trovare pace e
fissa dimora. La musica mi chiama, non posso distrarmi, mi attira come
il pifferaio magico e mi ritrovo all’interno di uno scenario di altri
tempi. Una luce molto tenue, una musica tanto amica, un salone enorme e
mentre salgo le scale mi assale un brivido. Faccio per accelerare il
passo per fare due gradini alla volta, ma mi fermo perché voglio godermi
la solennità di un' entrata trionfale. Non voglio bruciare i tempi. So
che quella prima visione mi resterà dentro a lungo. Sento la musica,
sento passi che calpestano e strisciano sul pavimento . La scalinata sale precipitosa e precipitosamente mi lancia in quella sala fatta da due file di colonne che sostengono una balaustra centrale ricoperta da una vetrata a volta. L’effetto è quello di percepire i colori della notte... di vivere una notte. Ai lati delle colonne tavoli in legno coperti da tovaglie rosse di fondo e una nera più piccola messa di traverso che viene sbattuta ogni volta che cambia cliente. Le sedie... non mi ricordo, ricordo che scricchiolavano parecchio, sì cantavano e non ti facevano stare gran che comodo. In fondo si andava lì per ballare e non certo per scaldare le poltrone! La pista è già calda c’è gente che si muove con grande grazia, chi accenna ganci e chi viceversa si limita a girovagare per le mattonelle veneziane calpestate ed intrise di storia tanghera. Mi renderò conto ballando che sembrano avere inciso su di loro i passi da fare, tanto ti vengono facili ed eleganti. Beh sono alla “Confiteria Ideal” non potrebbe essere diversamente!
Attira subito la mia attenzione un piccolo elegante signore sulla
sessantina decisamente abbondante di peso che con fatica si alza, porge
la sua mano sinistra con eleganza e garbo ad una dama che tanto sapeva
di compagna di vita, vestita di nero con un risvolto ricamato rosso. La
gentil signora non si fa scappare l’occasione e come se fosse lì per la
prima volta si alza sulle punte e aspetta il comando per aprir la danza.
Si appoggia ad una pancia immensa dell’uomo che sembra offrire sostegno e protezione.
Lui si trasforma da pesante pachiderma a leggiadro ballerino.
Parte con una veronica personale, lasciandomi da subito a bocca aperta.
Si muove anche lui sulle punte, su scarpe e piedi troppo piccoli per sostenerlo e che si confondono con il pantalone troppo largo.
A tagliare in due la pista c’è un professionista del tango, deve
esserlo per forza. In perfetto gessato nero, capelli con brillantina, la
camicia con i gemelli e un grosso lavoro di fianchi nel suo muoversi per
la sala. Bravo, ma non mi piace, non mi trasmette amore, troppo
concentrato su se stesso e la dama, una affascinante cinquantenne,
sembra per lui solo un oggetto per esprimersi e non la sua essenza. Di
tutt’altra pasta sembra un suo coetano. Anche lui in giacca e cravatta,
ma sul chiaro. Lui, per la sala si muove sorridendo e a passi
particolari guarda negli occhi la compagna che viene trascinata in
vorticosi vortici. Il sorriso e gli occhi illuminati non l’abbandonano
mai. Nel frattempo il solerte cameriere, che poi scopro essere anche un
ballerino di prima qualità, tra una portata e l’altra, mi allunga la
cervecita ordinata all’entrata. Una “Quilmes” ovviamente! Una birra
argentina molto leggera che fa tanta schiuma, ma presto se ne va. Ti
lascia la bocca maltata e dissetata. Ah! ora sono pronto per il ballo.
Perlustro l’orizzonte. Di fronte a me tutte coppie che guardano
entusiaste al centro della sala e ogni tanto si alzano per prenderne
posto, per diventare loro a loro volta i ballerini da guardare. Sulla
mia sinistra due signore che percepisco essere tedesche, ma portano
scarpe senza tacchi... brutto segno per invitarle a ballare. Nel
frattempo, alla mia destra, si alzano due persone e voltandomi da quella
parte per lasciar spazio d’uscita incrocio gli occhi di una gentil
signora che sorridendomi quasi mi sberleffa. Io colgo la sfida e la
invito a ballare. Il buon Graziano mi ha sempre insegnato che i primi
passi devono essere usati per conoscere la ballerina e capirne l’abilità
e la sintonia che si instaura. Le offro con calma la mano, anche se mi
costa fatica e mi devo imporre di fare movimenti lenti, la posiziono a
giusta distanza e prendo il tempo. Non c’è molta gente ora in pista e
così parto con il destro indietro, mi prendo tempo, e poi completo la
“salida”. Non male la pulzella che mi segue e sembra saper il fatto suo.
Mi lancio con qualche “sacada” e gli “ocho” vengono alla grande, eh vai!
Giriamo e preso dall’entusiasmo presto poco orecchio al final e mi trovo
ad improvvisare una fermata che non era però prenotata! Si sa che il
primo giro è sempre più complesso, poi gli altri due sono la conseguenza
del primo. Nel senso che se viene bene l’inizio, poi si va con il vento
in poppa. Mi fermo dopo la triade perché temo una milonga che non so
assolutamente ballare: Fenzi quand’è che me l’insegni? Ringrazio e
scopro di aver danzato con una norvegese... beh! il mondo è veramente
piccolo.
Riprendo posto sulle sedie che cantano, mi rilasso perché posso dire di
aver raggiunto l’obiettivo. Amur sarai fiera del tuo tanghero preferito
(spero ancora preferito)?
Il cameriere, rientrato da un ballo, mi fa cenno per un’altra birra, ma
rinuncio devo tornare in albergo almeno per cercare di dormire qualche ora.
Esco e ripercorro la scalinata con estrema calma, la musica mi
ri-accompagna e l’aria calda della notte di Buenos Aires mi accoglie
fuori dal locale. Non ci sono quegli immensi ventilatori che erano
posizionati in ogni angolo della sala per rinfrescare i partecipanti
alla milonga.
Riattraverso l’enorme viale, guardano questa volta il nome e inciso su
un lato c’è scritto: “Presidente Roque Sàenz” (presidente dell’Argentina
dal 12 ottobre 1910 alla sua morte 9 agosto 1914). Mi ricaccio nella via
pedonale che a quest’ora è decisamente meno affollata. Poco più avanti
ci sono un gruppetto di giovani scalzi che giocano a pallone tra la
spazzatura e con una palla fatta di sacchetti di plastica. Ecco l’altra
faccia dell’Argentina il sogno del calcio. Raggiungo la stanza e mi
butto sul letto. Praticamente vestito passo in quella posizione le poche
ore che mi rimangono prima di partire: missione compiuta!

Occhio all’onda!

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