Gli occhi: la luce e la forza della passione


Sono arrivato a dicembre in questo continente e lo sport australiano era concentrato su una partita di cricket contro il Pakistan tenendo su di sé l’attenzione per un mese intero. Accendevi la tele e ti ritrovavi in mezzo al campo con le due squadre in piena partita. Salivi in macchina e partiva il commento alla radio sulle ultime novità dal campo; ti capitava di passare davanti a qualche bar e vedevi la gente incantata a guardare e a seguire 22 giocatori vestiti come anziani signori in gita Valtur intenti a tirare una pallina o a colpirla. Ora non vi sto a spiegare le regole di questo nobile sport importato da queste parti dagli inglesi. Fate come me, se siete curiosi, andate su wikipedia ed eruditevi su storia, regole, spirito del gioco, ruoli, strumenti utilizzati, campi e organizzazioni. Dopo i dovuti approfondimenti è da osservare un altro aspetto, forse il più interessante: la passione che leggo negli occhi dei piccolissimi che incontro e vedo in azione nella mia corsa giornaliera proprio su un campo di questo sport all’apparenza molto noioso. I ragazzini, ma ci sono anche femminucce, arrivano solitamente a bordo dei suv dei genitori, qualcuno anche a piedi evidentemente fortunato per abitare a pochi passi dal prato verde, scendono dalle auto inforcano una borsa gigantesca e si cambiano a mo’ di canoista e cioè in strada e con il gluteo al vento! La vestizione ha un suo particolare rituale in relazione al ruolo di ogni giocatore, ma mi rendo conto che ci sono lunghe pause nella partita per effettuare i relativi cambi di abbigliamento. Evidentemente ad alternanza ci si scambia i ruoli: a questa età non c’è la specializzazione, com’è giusto che sia. Mi colpisce come l’allenamento o la partita procedano senza l’intervento eccessivo di, credo, l’allenatore. I piccoli giocatori sembrano gestirsi autonomamente molto bene, un po’ come facevamo noi al campetto da calcio. Una volta fatte le due squadre con la classica “alle bombe del canon bim bum ban” si iniziava a giocare dopo aver fissato l’unica vera regola per quel pomeriggio intero: si arriva al 10 (questo numero naturalmente stava per gol segnati). Alle volte poteva succedere che, se la partita andava troppo per le lunghe, le mamme iniziavano ad urlare i vari nomi dalle finestre che circondavano il nostro “Maracanà”, avvisando che la cena era praticamente in tavola. A quel punto arrivava la classica perentoria decisione: chi segna questo ha vinto tutto, un golden goal ante litteram. Potevi vincere o perdere 8 a zero ma chi segnava quel goal aveva la vittoria e tanta storia da raccontare fino al giorno successivo. La gloria di un momento grazie magari all’exploit finale. Un po’ quello che è successo all’Italia della neve e del ghiaccio. Speriamo solo che questa volta non basti per salvare un sistema sportivo che, come ripeto da tempo, si basa esclusivamente su buona volontà di talenti e sulla scarsa lungimiranza dei settori dirigenziali. Verrebbe da urlare: a casa tutti! ma nessuno di loro avrà l’onesta di farlo.
Negli occhi di quei giovani giocatori di cricket c’è la voglia di giocare, di non fermarsi mai. Finita la mia corsa, torno a casa, mi lavo, mangio, riposo, scrivo o leggo, ripartiamo per l’allenamento. Ripasso davanti al campo e loro, i ragazzini, sono ancora su quell’erba soffice e deliziosa di un verde smeraldo a contendersi pallina, guanti, bastone e a correre. Sembra che il tempo si sia fermato, sembra di vivere solo per quella partita eppure quello è l’unico sistema vero che conosco per arrivare, forse un giorno, ad una tanto ambita e sperata gloria sportiva. La luminosità degli occhi di quei piccoli omini vestiti di bianco e dal cappello troppo grande per restare fisso in testa, mi riflettono la luce che già mi guida e che ho rivisto ieri a migliaia di chilometri di distanza dopo un bagno nelle fredde acque del Brenta. Una luce, uno sguardo, una passione che non ha bisogno di una presenza fisica per essere recepita, apprezzata ed esaltata. La voglia di ritornare velocemente a pagaiare ne è la testimonianza più forte.

Occhio all’onda! Ettore Ivaldi

Penrith 28 febbraio 2010 – Traning Camp

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